26.10.04


Le apparenze ingannano - alpinisti si nasce Posted by Hello

El Calafate 6-XII-2001

Arrivo mattutino nella sperduta stazione di Rio Gallegos e acquisto dei biglietti per El Calafate, in effetti la guida aveva ragione. Speriamo che il pulmann partà al piuù presto.
In viaggio verso El Calafate conosciamo due giovani archittetti italiani che si erano licenziati dallo studio nel quale lavoravano a Parigi ed in attesa di cominciare un nuovo lavoro, viaggiavano per tre mesi zaino in spalla (da tipico viaggiatore europeo in Sud-America). Sembrano felici e rilassati. Sembrano dire che si può coniugare una vita borghese con il tempo per se stessi, per la riflessione, e -oso- l'avventura. Mi chiedo se vorrei passare pure io tre mesi in viaggio come loro. Avrei paura di perdere il mio tempo e le mie radici? Stabilitas loci o "Anatomia dell'irrequietezza"? Come sempre mi sento sospeso ed intermedio. La mia natura ermafrodita non mi lascia altra scelta che il dubbio. Mi viene in mente il "Viaggio intorno alla mia camera da letto" intrapreso in pigiama di cotone azzurro e rosa da Xavier De Maistre, che guida l'ottimo, o pessimo a seconda del mio umore, Alain De Botton, nella sua esplorazione dell'abitudine. "Migliaia di persone che non avevano osato prima di me, altre che non avevano pouto, e altre ancora che non avevano pensato di viaggiare saranno persuase dal mio esempio [...] Esiterebbe, il più indolente, a mettersi in cammino con me per procurarsi un piacere che non gli costa nè fatica nè denaro?"
Concludo che è meglio non pensarci troppo a lungo, si rischia di capire qualcosa di se stessi.
Arrivo in mattinata ad El Calafate sulla sponda del Lago Argentino.
Nel paesino, molto alla moda a dire la verità, per quanto questo concetto possa avere un senso a questa latitudine, si decide per il battesimo del fuoco con la bevanda nazionale: il Mate. Il locale prescelto è quello della simpatica signora Maria del Carmen, anziana e pingue portena (abitante di Buenos Aires. Chissà perché i nomi che indicano da quale città si proviene sono cosi difficili. Qualcuno ha idea di cosa sia un “edochiano”?), trapiantata qui ad El Calafate. Con foga missionaria la signora spiega come, dove, perché e via discorrendo si prende il mate (si tutte quelle storie sui Gesuiti et similaria). Ascolto un po’ intimorito la conferenza-sermone. Ho la sensazione di venire edotto di una sorta di cerimonia del thè. Mi chiedo se ad un certo punto si berrà pure qualcosa o meno…
La signora quindi carica d’erba una boccetta di legno nella quale versa il mate, mette la cannuccia di metallo in posizione e quindi versa l’acqua con temperatura compresa tra i 75 e gli 85 gradi. Solo i bambini, le donne giovani e gli stranieri, zuccherano il mate. La signora porge la boccetta a D. che lo assaggia sorridente ed esclama “Penso che Massimo lo prenderà zuccherato”. Scomparsa Maria del Carmen, mi rendo conto che avevo sempre sottovalutato le capacità di dissimulazione di D. Il mate è come bere una sigaretta. L Per fortuna c’è il pane e burro per consolarsi. Deve essere una questione genetica. Non ci si improvvisa bevitori di mate…
Cena gloriosa, al telefono mamma mi dice che Scattone e Ferraro hanno ottenuto giustizia dalla suprema corte di Cassazione. Strano ricevere una notizia tanto attesa in un luogo equidistante – e tanto distante- da tutte le principali città del mondo (cosi dice un cartello al centro del paese). Purtroppo la storia mi insegnerà a limitare i miei entusiasmi.

23.10.04


Le apparenze ingannano- Punta Tombo Posted by Hello

20.10.04

Punta Tombo 5/XII/2001

Giornata che comincia di fretta. L'abergo ci ha svegliato tardi e Mario, l'autista dell'escursione, strano tipo di gaucho alternativo del loco, si è presentato presto. Partiamo per Punta Tombo, la più grande colonia di pinguini della Patagonia. Ripassando per Trelew carichiamo Victor, svizzero fricchettone con capello lungo, canotta e bracciale d'argento. In tutta la giornata non dirà più di 100 parole, piccolo esempio di giovialità elvetica.
Dopo 100 km su strada sterrata in mezzo alla steppa patagonica vediamo apparire l'oceano blu fortissimo fra colline rosse di ferro. E' un emozione. Il sole splende forte. Siamo fortunati è una giornata meravigliosa anche oggi.
"Vivo in un paradiso", esclama Mario, l'autista. In effetti è vero, ma mi chiedo fra me e me quanti altri posti avrà visto? D'altronde, se sei felice di quante altre felicità avrai mai bisogno per riconoscerlo?
Finalmente a tu per tu con i pinguini. Non mi aspettavo di poter andare cosi vicino ed invece me li trovo zompettanti sul sentiero vicino la spiaggia. La riserva è piena di buche (nidi) scavate dali uccelli fra gli arbusti I pulcini nati pochi mesi prima e tutti grigio cenere con la pancia bianca se ne stanno ad aspettare il cibo o si fanno scaldare dai genitori. Foto, foto, decine di foto. Speriamo che rendano la bellezza del posto. Un'odiosa signora argentina che mi angustiava monopolizzando i pinguini è stata punita a dovere: cagata di pinguino sulla maglia e via cosi.... L'apparenza inganna. Mi avvicino ad un pinguino che comincia guardarmi piegando la testa prima a destra, poi a sinistra. "Che carino!", penso e comincio ad imitarlo, lui va con la testa a destra ed io con lui, sinistra e via discorrendo... Scoprirò poi che piegare la testa in maniera cosi carina corrisponde al massimo segno di irritazione che un pinguino possa esprimere, praticamente qualcosa di simile a "vola basso amico mio!".
Al ritorno da Punta Tombo ci aspetta la stazione dei pullman di Trelew. Purtroppo non esiste un collegamento diretto con la nostra prossima tappa (El Calafate). Ci tocca andare più giù fino a Rio Gallegos (posto del quale la guida dice chee il viaggiatore una volta lì non può che augurarsi che la sua coincidenza arrivi il prima possibile, una specie di Molvania praticamente) e poi cambiare. Oltre 20 ore di pullman ci attendono.
Il paesaggio fuori dai finestrini è di una monotonia inquietante. Steppa, steppa e ancora steppa. In ore ed ore nessuna casa, quasi nessuna macchina nell'altro senso e l'unica azione era data dal dipanarsi di sporadiche colline all'orizzonte. Questa è la volta buona che finisco "Il bacio della donna ragno".
La sera, al crepuscolo, finalmente l'oceano. La carrettera si trasforma in lungomare, anzi pardon in lungoceano, ed incredibilmente corre per centinaia di chilometri a 20 metri dal mare. Mi aspetto che da un momento all'altro qualche onda vega a fare il solletico al pullman ma niente... i fari delle macchine nell'altra direzione, la striscia d'asfalto a perdita d'occhio, l'oceano a golfi e la terra arrossata creano un'atmosfera molto 'on the road'. Piacerebbe sicuramente a Bruce Springsteen, peccato non aver modo di preservarla se non con le parole. Credo che tenterò di dormire ora....

Peninsula Valdes - 4/XII/2001

La gran parte dei turisti, è noi con loro, arrivano alla Peninsula Valdes, per vedere le light whales (Non lasciatevi trarre in inganno dal nome, a dispetto delle loro tonnellate si sono meritate questo nome perché i loro corpi galleggiano dopo la morte). E’ un po’ triste rendersi conto di essere nella massa e della massa anche qui, dall’altra parte del mondo. Come scriveva quell’eccentrico snob di Evelyn Waugh “tutti gli inglesi che vanno all’estero vorrebbero essere considerati, fino a prova contraria, dei viaggiatori e non dei turisti. […] io sapevo che era perfettamente inutile continuare a tenere in vita questa pretesa. Io e i miei compagni di viaggio eravamo, senza possibilità di compromessi o di attenuanti, dei turisti”. Parole sante. Valgono anche per un finto-siciliano come me.
Armati di giubbotto salvagente arancione saliamo sulla “Azul Profondo” con orde di signore di mezz’età, e partiamo alla ricerca degli agognati mammiferi.
Il fondale è bassissimo nella zona (mai più di 15 metri) e questa è una delle ragione per le quali le balene vengono qui a partorire i loro piccoli, da loro il parto in acqua è sempre andato di moda ;-). A quanto pare i Cachorros, i piccoli di balena, non sono dei provetti nuotatori, e la mamma deve dare ogni tanto dei colpi di pinna per tenerli a galla. Questi cuccioli di mammifero sono proprio ritardati. Sapete che il cucciolo di uomo fino ai primi mesi di vita è in tutte le abilità meno una inferiore al cucciolo di scimmia? L’eccezione è costituita dalla capacità di riconoscersi guardandosi in uno specchio. Pane per i denti dei cultori delle neuroscienze e delle discipline cognitive varie….
Dopo una mezz’oretta di girovagare per mare allietati dal sole che scotta il viso, e dalle chiacchiere di un gruppetto di italo-argentini over 70, avvistiamo la prima balena che sta allattando il suo cucciolo (l’amico beve qualcosa come 200 litri di latte al giorno alla faccia della Parmalat). Mamma e figlio giocano, pinneggiano, spruzzano acqua tipo geyser e tutte quelle cose che vi aspettereste da una balena solo viste dal vivo e da molto, molto vicino.
Pomeriggio assolato. Vaghiamo fra le piste della penisola (in siciliano si direbbero "trazzere"). Sul pulmino dormono tutti. La guida legge un libro su un suo avo, esploratore gallese. Mi godo il paesaggio da solo in silenzio. A destra e a sinistra pianura, immensa pianura riempita solo di arbusti e di terra gialla. La luce, vera protagonista della Patagonia, a quanto ho capito finora, illumina tutto bianchissima, purissima, come in Europa si vvede solo in ventosissime giornate d'inverno quando soffia quella tramontana che spezza il fiato se solo si senta di fare un respiro più profondo.
Questa natura scabra, con una vegetazione ora più fitta, ora più rada a seconda dell'esposizione ai venti, spinge la mente a vagare. Scriveva Borges che se si vuole avere un'idea del vuoto bisogna venire in Patagonia. E' vero, non c'è dubbio. Ma si tratta di un vuoto particolarmente denso. Mi ritrovo a pensare a come deve essere stata la Terra prima dell'uomo. Qui forse non era cosi diversa da come sarebbe in assenza della razza umana.
Pensieri quotidiani fanno capolino allo stesso modo nella mia testa. Un po' come la scena di Nanni Moretti su Stromboli. Mi ritrovo a pensare intensamente a come sarà andata la riunione di condomino a Roma...
Una linea elettrica d'un tratto mi provoca un fastidio vivo. I pali di legno mi sembrano insopportabili.
Ci imbattiamo in una famiglia di pseudo-struzzi patagonici. Babbo e sette-otto figli secondo la guida. Il mio occhio cittadino non ne vedeva più di cinque. Riconoscere il diverso nell'omogeneo richiede conoscenza a quanto sembra.
Lamento per il maschio: oppresso dal machismo come l'elefante marino che passa da cinque tonnellate di peso a pochi quintali di peso durante la stagione dell'amore, un po' alla Lando Buzzanca nel "Merlo Maschio", o costretto ad una paternità violentata come il povero struzzo patagonico che viene bloccato da cinque femmine per giorni e obbligato a covare le uova fino a che non si schiudono. Il senso di virile compartecipazione per il poveretto è travolgente. Ricorda Dustin Hoffmann in "Kramer contro Kramer". Era meglio morire da piccoli...
Dall'alto di una scogliera ammiriamo leoni ed elefanti marini in armoniosa coabitazione. Il paesaggio ricorda la 'coute sauvage', o perlomeno Gaeta, anzi invogliava a discendere in corda doppia ed a tentare di aprire qualche via.
Peccato che a quanto pare il guano (lo sterco) degli animali abbia un odore insopportabile e che la roccia fosse del tutto friabile. In effetti i gallesi non riuscivano ad approdare proprio perchè la costa è tutta una scogliera tanto bella quanto alta ed inaccessibile. Non ci facciamo mancare niente, nemmeno una reprimenda della guida contro il governo in uno spagnolo cosi latineggiante da fare impressione (tipo 'no calientatur largo viventur').
Domani ci aspettano i pinguini.

19.10.04


Bentornato nella vera Capitale: operazione alba a Fregene Posted by Hello


Bentornato nella vera Capitale: casa dolce casa Posted by Hello

13.10.04


Arrivederci alla capitale.... Posted by Hello

11.10.04


Con Doyne Farmer Posted by Hello


Tramonto da SFI Posted by Hello

"Quaerendo invenietis": Santa Fe Institute

Qui comincia l’avventura, si, si, proprio cosi, qui cominciano le gesta di un folle innamorato, di un pazzo esagitato, di un sedicente scienziato.
Volo DC-Dallas. Atterro all’aereoporto è già un altro mondo. Altro che la capitale, in qualche modo simil-europea (cmq piena di internazionali), qui è tutto uomini con cappellone, cinturoni e stivaloni, ragazzi di diciottenni con fisico compatissimo e capello cortissimo vestiti da soldato, in mimetica da deserto, pronti per enduring freedom, accento del sud. Sono già quattro ore che ho lasciato DC. Comincio a sostituire un’idea fisica all’idea mentale di quanto sia distante il Nuovo Messico, in ogni senso. Nuovo aereo: Dallas-Albuquerque (l’aereoporto principale del nuovo Messico, città natale di Lucille Ball per gli amanti delle fiction anni cinquanta). Aeroporto molto bello, mi sorprende: in stile indiano, pieno di colori, alla moda, si vede che questo è un posto super-turistico. E’ la settimana con la festa delle mongolfiere, l’evento principale della città, i voli sono gremiti.
Bando alle ciance vado a cercare un autobus per Santa Fe. Una cosa cosi semplice può essere sufficiente per darti un’idea di quanto sia cambiato il panorama umano intorno a te. Ai banchi delle società dei pullman visi latini, accenti latini, ritmi direi medio-orientali, calore e cortesia che mai e poi mai un anglo-sassone riuscirà a sprigionare nemmeno quando è super-simpatico. Un’ora e mezzo su una striscia di cemento in mezzo ad una vastità desolata. Non so bene a cosa paragonarla, molto più piena della Patagonia, più verde della Sicilia interna, con meno case della Castiglia. Insomma un po’ “no-where” non c’è che dire. Del resto mi avevano avvisato. Sarojini, un’amica californiana mi aveva detto “guarda per andare a stare in un “no-where” è un bel “no-where”, in fin dei conti lo diceva anche Will Cuppy nel suo “Decline and the Fall of practically everybody”: “Le piramidi sono fantastiche, se ti piacciono le piramidi…”.
Arrivo all’albergo che mi hanno prenotato dall’istituto, sono le cinque del pomeriggio (ora del NM, le sette di sera a DC). Sono in viaggio da dodici ore. Se non avessi addosso un’adrenalina da tossico-dipendente potrei svenire. L’albergo è di proprietà di una tribù seminole che lo gestisce anche (sostengono di essere l’unico caso al mondo, sostengono anche di essere fra i 50 alberghi più belli degli Stati Uniti). E’ molto bello non c’è che dire, certo un po’ strano dalla musica indiana nella reception, alle grandi statue sparse un po’ ovunque, allo stile decorato che, scoprirò in seguito caratterizza tuta la città. Ma in questo viaggio le stranezze sono all’ordine del giorno, questo è solo un magro antipasto.
Santa Fe è uno dei posti più alla moda degli Stati Uniti. Un posto veramente da ricchi. Una specie di Cortina ibridata con i pellerossa in salsa Tex Mex. Un posto veramente singolare. Direi trentamila abitanti, un’infinità di gallerie d’arte (per qualche strana ragione non solo i pittori vengono a dipingere le loro tele qui, ma anche i ricconi vengono a sborsare i loro dollari in questo posto ai piedi delle Montagne Rocciose, ‘the Rockies’, per avere un tono un po’ più confidenziale), il più alto numero di Ph.D pro-capite per via dei laboratori di Los Alamos nei quali gli americani progettano da sempre le armi atomiche reclutando un’infinità di fisici. Non mi meraviglia che quel povero disperato dell’alieno di Roswell abbia deciso di schiantarsi a poche miglia da qui. Che altro posto poteva scegliere, in fin dei conti?
E’ tutto il giorno che lavoro sugli aerei alla mia presentazione per domani. E’ assurdo stare lavorando dal 1999 su qualcosa e non avere ancora niente in mano. Tutta colpa di Stefano Eusepi :-), non c’è dubbio…. Per fortuna il consulente che è in me non mi ha abbandonato. Che PowerPoint sia con me.
Sono le otto, vado a cena in centro. “Faccio un po’ di turismo” penso. Sapete qual è il bello di Santa Fe? Che non rischi di tornare esausto dopo aver camminato per ore ed ore vedendo un’infinità di cose che ti potrebbero anche dare il mal di testa, tipo NYC. Qui vedi la Plaza e la chiesa di S. Francesco, giri per i 20 negozi, dai un’occhiata alle gallerie d’arte ed in 30-40 minuti sei al livello di un nativo del posto. Efficiente, comodo, e anche tutto sommato democratico dopotutto L Provate a cenare dopo le 21.00. Anzi provate a trovare qualcuno in giro per la strada. Io sono riuscito ad avvistare solo una coppia di italiani in viaggio di nozze (certo che gli sposini ormai arrivano veramente ovunque…).
Devo scrivere, scrivere. Ho sonno. Non riesco a dormire. Sono depresso. Non riuscirò mai a sopravvivere in un posto del genere. Ma che ci sono venuto a fare? Ma come mi è saltato in mente di scrivere una e-mail a Doyne Farmer: “salve, sono un giovane italiano che vorrebbe venire a trovarvi”. E’ vero che con questo approccio io e Guido abbiamo scoperto Vallombrosa e la nostra vita e cambiata in meglio (certo mai quanto avrebbe dovuto e potuto ma visti i personaggi che cosa aspettarsi di diverso), però… Io domani a questi che gli dico. Farò una figuraccia. Non capirò l’accento, né quello che dicono. Saranno tutti scontrosi e io intimidito. Voglio tornare a casa. Voglio la mamma.
Insomma, ero un po’ in crisi. Per fortuna, credo proprio di avervelo già scritto, quando il gioco si fa duro….
Lunedì mattina, sole splendente, salgo sul SUV dell’abergo alle 7.50. Mi sono svegliato alle cinque fra l’agitazione e il fuso orario. Usciamo dall’abitato (‘1’’30 netti), ci inerpichiamo per Hide Park Road (‘2’’30), eccoci, il cancello, cuore all’impazzata, c’è un viale in salita con un po’ di tornanti. Scaliamo il parco dell’istituto (‘1’’00) è arriviamo in cima alla collina.
WOWWW! E’ un villone. Il piazzale è deserto. La porta sembra aperto. E’ un deja-vu. Entro in un chiostro immerso nel silenzio più totale. Ma io non sono a Vallombrosa. “C’è nessuno?”, comincio a vagare, s’intravedono camini, divani, salotti, grandi saloni conferenze col soffitto in legno decorato “Ma dove sono finito”?
Arrivo di fronte alla sala conferenze principale “Optimism is an essential ingredient for innovation”. Ho capito dove sono arrivato. E’ il posto per me.
Vago fino alle 8.30 quando comincia ad arrivare la gente. Caroline, il padre foresterario, cioè scusate, volevo dire l’assistente amministrativa che si occupa dei visitatori, mi porta in cucina e di fronte ad una tazza di thè mi consegna la mappa dei sentieri nel parco dell’Istituto. “sei vuoi fare una passeggiata abbiamo vari livelli dal semplice all’escursionistico..” mi fa vedere il mio ufficio e mi lascia alle cure di Nick, l’uomo dei computer. “Quanti computer vuoi?”, mi chiede. “Scusami forse non ho ben capito”, deve essere l’accento mannaggia. “Di quanti computer hai bisogno?”. “Ma io ho il mio portatile non preoccuparti”. Sguardo di delusione nei suoi occhi… “Cioè volevo dire, uno me ne basta uno…”. Meglio non sfigurare troppo. In effetti gli studi degli altri assomigliano ai negozi di elettrodomestici. Con meno di due schermi sembro troppo un turista…
Mi da l’accesso ad una macchina Windows -meno male sono cosi arrugginito in Linux che la figuraccia sarebbe stata pressoché certa- scorro la lista dei profili utenti per entrare nel sistema “A”, “B”, …”L”, “M, eccoci si siamo”. Massimo Sapienza finalmente. Mi cade l’occhio sul nome precedente “Martin Shubik”, professore di matematica per l’economia a Yale, praticamente una leggenda. Ma chi sono !!! Se è un sogno non svegliatemi…
Alle 10.00 ho appuntamento con Doyne Farmer, il mio ospite, il momento della verità si avvicina. Mi accoglie sorridente. E’ proprio il classico americano costa ovest easy-going e rilassato, meno male (credo che aiuti il fatto che alcuni anni fa ha fondato una società che pare renda milioni di dollari…). Discutiamo dei miei paper, dei miei progetti di ricerca di futura, di quello che studia il suo gruppo. Doyne è veramente gentile e nel vero spirito di Santa Fe, ricerca interdisciplinare ibridando i contributi del massimo numero di persone e di approcci, mi organizza interviste con gli altri ricercatori residenti. “E’ molto importante che tu partecipi a tutti i pranzi comuni alle 12.00 ed ai the delle 3.00 del pomeriggio. Noi non crediamo alla ricerca di ciascuno chiuso nella sua stanza. Vogliamo che la gente si scambi le idee, ci teniamo a questi momenti comuni”. Amen!
I pranzi sono incredibili, li fanno solo da maggio ad ottobre. Negli altri periodi dell’anno i ricercatori prendono la macchina salgono per 10 km fino all’inizio degli impianti da sci: due ore di sci e pranzo al rifugio…. Il primo giorno stavo parlando con Doyne del suo recente sforzo per imparare l’italiano. “Complimenti, deve essere difficile imparare il genere delle parole”. “Poteva andarti peggio Doyne”, si inserisce Sergey, linguista russo, autore di un ponderoso trattato in 4 volumi sull’etimologia delle lingue altaiche, “Sai che esistono lingue altaiche che hanno fino a 12 generi (dico 12….)? In questi giorni sto studiando una lingua con 4 generi: uno per gli uomini e le donne anziane, uno per le donne giovani, uno per gli animali ed uno per tutto il resto…”.
La merenda delle tre non è da meno. A parte il the, i brownie, la frutta, trovi gente a chiacchierare di cose tipo il quantum computing. “non so bene di cosa si tratti, ammetto timidamente”. Nessuno si scompone. “Hai presente la legge di Moore che prevede quando arriveremo al limite fisico della velocità dei computer?”. Fino a qui arrivo (più o meno). “Bene noi studiamo come si fa ad andare oltre quel limite”. “E come si fa?”, “sostanzialmente pensa di mettere l’utilizzatore del computer in una specie di macchina del tempo, lui lancia l’esecuzione del calcolo e in parallelo torna un po’ indietro nel tempo….”. Insomma finalmente ho trovato un gruppo umano nel quale non sono l’unico a dire e pensare assurdità J.
Nel pomeriggio vedo John Miller, l’unico economista vero della banda, praticamente il fratello magro di Micheal Moore, ranchero da quattro generazioni del Colorado. “Sai che se vieni qui da noi a studiare poi per te sarà un inferno? I dipartimenti di economia non ti vorranno perché hai pubblicato con i fisici, ..”. Apprezzo l’onestà intellettuale, mi ha ricordato un’e-mail di tanti anni fa (era l’undici dicembre del 1998)

“Caro dr.Sapienza,
scoraggiare dall'intraprendere strade impervie è il dovere di ogni buon docente; se lo studente decide egualmente di seguirle, probabilmente ... è un buon studente.”

Era Pietro Terna all’inizio della nostra vita di ricerca comune. Se mi sbaglio, se non altro non si potrà dire che non sia consistente nei miei errori.
Vedo gente in continuazione. Ciascuno mi scarica addosso parti dello scibile sconosciute. La mia testa scintilla. Mi vengono in mento 2000 idee al secondo. Oddio la vita è ridicolmente corta per sperare di capire tutte queste cose..
Bussa alla mia porta un altro tizio, alzo lo sguardo e vedo Bruce Chatwin. “Ok mi sono fumato il cervello definitivamente, troppe sollecitazioni” penso. Invece no, è Eric Smith, un giovane fisico appena diventato professore qui, che si vuole interessare d’economia. Ci mettiamo a parlare sul terrazzo con vista sull’infinito deserto del New Mexico, contornato dal profilo boscoso delle montagne Rocciose. Al solito comincio raccontando la mia vita, e quando stavo dicendo quanto mi mancava la ricerca mi interrompe e mi dice “ti capisco benissimo, anche io dopo il Ph.D. a Stanford non ho trovato lavoro in accademia e sono dovuto andare a costruire modelli geofisici per l’estrazione di petrolio. La sera però tornavo accasa affamato di qualche bel problema che potesse mantenermi vivo”. Contengo a fatica la pulsione omosessuale e non lo bacio.
Il tempo scorre veloce ormai sono qui da tre giorni. La mia idea sulla logo-diversità, sembra interessante a tutti. Un sacco di lavoro da fare, non vedo l’ora di cominciare.
Sono triste di lasciare questo posto. Sono felice che esista però. Mi sembra cosi strano che possa essere reale un posto che riunisca cosi perfettamente le mie tre grandi passioni: la ricerca, la vita cenobitica di un monastero e la montagna. Mi sembra incredibile che un posto del genere sia cosi accessibile: mandi un’e-mail, ti auto-inviti ed il gioco e fatto. Probabilmente i tre giorni nell’Istituto rimarranno un unicum nella mia vita, ma va già bene cosi. “Quaerendo invenietis”.

4.10.04

1709 19th Street, ancora addio


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La resa dei conti, alcune cose che amo a D.C.

Il tempo è inesorabile, su questo credo, possiamo concordare tutti. Rimane però da capire se scorra velocemente o lentamente. Se guardo indietro ai miei tre mesi qui, da un lato mi sembra di essere arrivato l’altro giorno, dall’altro se ripenso a quante cose ho fatto, a quante persone ho incontrato e a quanti pensieri diversi sono passati nella mia testa, non riesco a capacitarmi di come non sia stato necessario perlomeno un decennio. Ormai il mio volo per l’Italia e la nuova vita a Roma sono realtà concrete e tangibili, l’ultima settimana è stata un frenetico rincorrersi di impegni di lavoro per chiudere le due brevi note che ho scritto per la Banca, organizzare per Santa Fe (the evil is in the details) e salutare le persone (‘dire addio’ sarebbe forse più appropriato, ma mi strazia un po’ troppo). E’ buffo, ma forse poi non è cosi infrequente almeno nel mio caso, dopo avere tenuto per quasi cento giorni un conto alla rovescia aggiornato, arrivare in fondo e dimenticare di registrare -7, -6….
Probabilmente la nostalgia, il dolore per l’impossibilità di tornare a casa, è proprio una strana bestia (io non lo sono da meno d’altronde). Casa a Roma è più vicina e il dolore viene conseguentemente lenito, la piccola casa che ho costruito qui a D.C. si fa più lontana ed il nostalgico che è in me non può che soffrirne. Ma solo un po’, tranquilli. Sono certo che non appena sarò tra tutti voi non potrò che essere felice. Suggerimento per le vostre letture: “Ignorance” di Milan Kundera, contiene due-tre pagine molto interessanti sull’etimologia della parola nostalgia nelle diverse lingue europee. I nostalgici saranno contenti, “styska se mi po tobe”.
Se non avete nulla in contrario sarei dell’idea di dedicare un po’ di righe alle cose belle di D.C.:

Biodiversità: un po’ come le foreste sono il paradiso del biologo, D.C. con le sue istituzioni internazionali è decisamente il non plus ultra per il curioso. La cosa più normale che ti possa capitare ad un party è di passare dal parlare con una danese che ha trascorso un anno e mezzo in Mongolia, fidanzato portoghese al seguito (che santo…), ad una californiana dal nome sanscrito che non ricorda nemmeno più quanti paesi ha visitato. Parli con un indiano della tua esperienza in India e quello ti invita in discoteca a Pune “non ti preoccupare, nei locali fighi ti faccio entrare io”. Venerdi scorso guidavo lungo la costa est da D.C. a New York (che traffico! I venerdi sono uguali in tutto il mondo a quanto sembra) per raggiungere mia madre e passare il fine settimana nella Grande Mela. In macchina con me Stefania, una sua collega cinese e Sweetie, il cagnetto di Stefi. Insomma due italiani, una cinese e un cane su una macchina verso New York. Eravamo perfetti per una barzelletta…
Ma non si tratta solo di una varietà di tipo spaziale, tipo album delle figurine dei calciatori. No, il giochino “c’è l’ho, mi manca” non m’interessa più dalla fine delle scuole elementari. La cosa eccezionale è che conosci gente incredibile, che ha fatto veramente di tutto: Ralf, il mio successore nella splendida casa al 1709 19sima strada, è forse l’esempio migliore: comincia con Ph.D in astrofisica ad Oxford, trovandola un po’ astratta decide di fare un master in Public Policy ad Harvard, per poi provare mamma McK. Essendo un uomo saggio dopo un anno decide che non è per lui e che vuole tornare alla ricerca. Ma in cosa? Questo era il suo problema. Si prende un anno sabbatico per andare in giro per il mondo e alla fine decide di studiare Neuroscienze con una borsa post dottorato della massima istituzione sanitaria statunitense….. Secondo me la prossima volta si darà all’origami, vi terrò informati comunque.

Il terrazzo con piscina di Federica e Giovanni: il teatro di tanti pomeriggi domenicali in piscina, il regno dei barbecue dell’Italian network (secondo i benevoli, io preferisco chiamarla Italian Mafia che suona più gaggio), come dimenticarlo. Dal tetto le guglie gotiche della National Cathedral (la sesta cattedrale più grande al mondo secondo la mia Rough Guide), sembrano persino affascinanti, il resto della città pieno di verde e quando il sole tramonta e te ne stai sorseggiando una birra su una sdraio ti domandi “ma a me chi me lo fa fare di andare via?”. Insomma un posto al quale sono affezionato. Proprio per questo motivo ho deciso di organizzare lì, lo scorso sabato pomeriggio il mio BBQ di arrivederci (di nuovo meglio non usare l’altra parola). Chiaramente, è ingiusto che Arthur Bloch, l’inventore della Legge di Murphy non abbia vinto alcun premio Nobel. Vi viene in mente qualcosa di più vero e universale forse? Signori giurati, tromboni togati, riparate ad un’ingiustizia ve ne prego. Insomma, per farvi capire, dopo una settimana di bel tempo, sabato mattina ci svegliamo con un magnifico cielo grigio, stile Torino a novembre (i reduci di Beinasco sanno di cosa sto parlando). Reggerà? Incrociamo le dita. Alle cinque mega-spesone da Whole Food. I classici: birre, hot-dog, hamburger, hummus, guacamole, etc. Salasso monetario, ma è l’ultimo giorno e ci tengo. Portiamo le cose al decimo piano. Tuono. Altro tuono. Lampo. Porca P….
“Tranquilli” dice Giovanni c’è una tenda che si apre per coprire il terrazzo. “Tranquilli mica tanto” fa il portiere, "non ho il modulo di autorizzazione per farvi aprire la tenda". Amici di Al-Queida se proprio dovete fare un’attentato a D.C. passate da me che vi do un indirizzo interessante….
Tiriamo fuori gli ombrelloni. Goccia, goccia e ancora goccia. L’aria si riempie di fulmini. Qualcuno comincia a terrorizzarsi. Il vento decide di urlare. Ci stringiamo sotto gli ombrelloni. Sono le 6.30. Fra mezz’ora dovrebbero arrivare tutti. Qui sembra che arrivi anche un uragano. Qualcuno si scoraggia e propone di andare in pizzeria, ma per fortuna quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Non so per quale motivo rimango di una calma imperturbabile (Min, la cinese era sconvolta, diceva che le ricordavo Bush nella scuola in Florida subito dopo il primo schianto), stappo una bottiglia di vino e dico “facciamo almeno un brindisi sotto l’uragano”. Che ci crediate o no almeno quindici pazzi brindavano a vino rosso sotto gli ombrelloni con un temporale fortissimo che li fradiciava. Che ci crediate o meno durante quei trenata minuti ho ricevuto almeno dieci chiamate di persone che volevano venire a tutti i costi “ma guarda piove da morire”, “Ma stai scherzando? Questo è il tuo party di saluto si fa ad ogni costo, io vengo lo stesso”. Che ci crediate o meno alle 7.10 la tempesta si è azzerata. Una serata magnifica.

Biliardo: devo alla grande Carla, l’economista con cui lavoravo alla Banca, un sacco di ore di divertimento. Quasi una volta alla settimana mi sono fatto massacrare dalla maga delle buche (io non giocavo dai tempi del liceo però…:-/). Siamo partiti nei locali un po’ alla moda. Poi dato che giocavamo ore ed ore e ci costava un patrimonio siamo progressivamente migrati verso posti più etnici e simpatici. Grandi domeniche pomeriggio guardando l’Inter sugli schermi (caliamo un velo) del locale, sentendo le canzoni del juke-box (vi ho detto che il posto era bello etnico, io credevo che i juke-box non esistessero proprio più) e perdendo sonoramente. Siamo andati a giocare pure il giorno del primo dibattito Bush-Kerry. Eravamo solo noi. Che città incredibile di secchioni della politica.

Tecnologia: è risaputo che in fatto di elettronica di largo consumo, gli Stati Uniti sono secondi solo al Giappone. Per intenderci qui nei negozi trovi il cane robot della Sony, le classiche poltrone che ti massaggiano, i micro-ventilatori da volo portatili (anzi me ne hanno pure regalato uno…), le sveglie che proiettano ologrammi e amenità simili. Quello che forse è meno noto e che questa terra di grandi contraddizioni anche in questo campo riserva delle sorprese che ti consentono di passare la giornata con un sorriso in più. Ad un happy-hour, un pomeriggio come tanti a D.C. stavo parlando con una ragazza turca. Ad un certo punto le squilla il cellulare e tira fuori dalla borsa un mostro tecnologico che a confronto l’Enterprise e il capitano Kirk fanno la figura dei cavernicoli. Non mi lascio sfuggire l’occasione di fare il simpatico (credevo io!) “Fa anche il caffè?” chiedo beffardo. “No, però ti consente di ordinarlo via Blue Tooth allo Starbucks più vicino”, risponde lei senza fare una piega. Uno a zero e palla al centro. Le sorprese arrivano anche dalle cose più quotidiane. Non so, pensate ad un semplice citofono. In Italia tu hai il citofono che è un modesto aggeggio in plastica e finisce lì, i più fighi hanno il video-citofono… qui no, sarebbe troppo semplice. Qui alcuni apartment building hanno un sistema che funziona via telefono e televisore. In sostanza quando qualcuno ti citofona, ti squilla il telefono e ti compare la sua immagine sul televisore. Mi chiedo io, ma sei stai facendo una chiamata importante? Se stai seguendo la partita in tv? E’ vero che per un interista è meglio non vedere però siamo nati per soffrire (e come correttamente ha titolato di recente Montesano “ci siamo riusciti benissimo”). Nota di demerito finale per una tecnologia base: i cartelli stradali. Qui da noi se vai da Roma a Milano e fin dal primo chilometro sei sommerso da cartelli che dicono “Milano”. Sembra semplice e razionale, ma non lo è. Nel regno del federalismo, ognuno si occupa di segnalare solo i paesini della sua contea. Cosi se parti per un posto senza esserti stampato le indicazioni (rigorosamente basate solo su numeri: “prendi la I95, gira sulla S72, torna su H24, acqua, colpito e affondato…) sei un uomo finito. Un po’ come se sull’autostrada del Sole trovaste solo indicazioni tipo “Fiano Romano a 1 KM”, “ Nazzano a 2 curve”. Amici americani datevi una regolata ;-).


1709 19th street addio! Posted by Hello

1.10.04


Ultimo giorno alla Banca: ho contribuito alla causa? Posted by Hello