23.11.04


La mia nuova famiglia professionale: Electrabel Italia Posted by Hello


II Liceo 1992 Posted by Hello

21.11.04


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Ancora in stile Verdone... Posted by Hello


III A dieci anni dopo Posted by Hello

Sabato 6 novembre, ore 20.30: quanto sono lunghi dieci anni?

Non pagavamo in Euro, non sapevamo cosa fossero i DVD, non ci chiamavano con i cellulari e tantomeno ci potevamo scrivere un'e-mail come questa. Sembra passato un secolo, ma invece sono solo dieci anni; d'altronde l'Inter nel frattempo non ha più vinto nemmeno uno scudetto.... :-( Ci sono almeno dieci buone ragioni per venire ad una cena di classe: la curiosità innanzitutto, chi si è sposato? chi è diventato calvo? dove è finito tizio? e soprattutto, Simone P. avrà smesso di portare i pantaloni corti? Guido V. avrà una donna finalmente?...... Ovviamente ci sono almeno mille buone ragioni per non venire ad una cena di classe (ma chi li conosce questi? Patetici!!! Ma io ho i miei amici, la mia vita,.... ma io quello proprio non lo sopportavo.....). Noi (Alberto, Fabio, Giorgio, Guido, Massimo e Matteo) crediamo che le dieci buone ragioni valgano proprio la pena di correre il rischio. Il dado è tratto. Dieci anni sono abbastanza. Se indugiassimo ancora l'effetto "Compagni di Scuola" alla Verdone sarebbe veramente deleterio. Insomma, la vita è breve, quindi non perdete l'opportunità!
P.S Se avete notato l'assenza tanto fra i citati che fra coloro che hanno ricevuto questo e-mail, di Giorgio G. e Simone P., non temete. Semplicemente non sono tipi da e-mail. Li si può raggiungere solo con strumenti più tradizionali, suggerirei i piccioni viaggiatori per Simone ;-).

Ushuaia 12-13/XII/2001

“La fin del mundo”, aereo per la terra del fuoco, verso il sud più sud. Ushuaia secondo gli argentini è la città più a sud del mondo (secondo i cileni Puerto Williams è più a sud… ma meglio non entrare nelle loro beghe senza fine). Nell’ottocento venivano deportati qui i delinquenti più pericolosi che rinchiusi “nel presidio” la notte, andavano a tagliare legna nei boschi di giorni.
Oggi è un insieme di case a degradare con una vista mozzafiato sul mare, montagne innevate alle spalle, grandi vetrate e terrazze con vista sulle navi rompighiaccio che da qui partono per le crociere antartiche. Esiste posto più romantico?
Sole bellissimo. A 1.000 km dall’Antartide continua a fare caldo.
Navighiamo un tratto del canale Beagle di fronte alla città. Navighiamo sulle acque di Darwin. “L’origine della specie” è nata qui. Mi sento come se fossi tornato nel luogo in cui i genitori mi hanno concepito. Senza il Beagle, addio teoria evoluzionista, scienze complesse, Santa Fe e complessologi complessati.
Non sono mai stato cosi vicino ai luoghi del leggendario capitano. Dall’altra parte dell’orizzonte c’è l’avventura, quella vera del continente bianco. Era il 30 agosto del 1916, quando sir Ernest Shackelton tornava sull’isola Elefante a riprendere i compagni che avevano affrontato un tremendo inverno antartico armati solo di rifugi costruiti rovesciando le scialuppe di salvataggio.
Ognuno ha gli eroi che merita. Io spero di meritare il capitano: uno che ha organizzato numerose spedizioni antartiche, non ne ha mai portata nessuna a compimento, eppure è fra i grandi dell’umanità. Da quando l’Endurance si è staccata dalla base baleniera della Georgia australe, i 22 della spedizione che doveva circumnavigare l’Antartide sono entrati nella leggenda.
La nave rimase incagliata fra i ghiacci. “Deriva, deriva, verso nord, nord-ovest. Profondità 370 metri 72° di latitudine est”.

"Durante la grande guerra nel Gennaio del 1915, un forte vento spingeva grandi blocchi di ghiaccio galleggianti imprigionando per sempre la nave dell'audace capitano Shakleton."

Capirono presto che la morsa non li avrebbe liberati mai. Tirarono giù le scialuppe e dopo una breve permanenza sul pack (avete mai visto le foto delle loro partite di pallone sul ghiaccio? Altro che Mediterraneo), cominciarono a navigare nell’oceano Antartide fino a raggiungere l’isola Elefante mai toccata da piede d’uomo prima d’allora. Sull’isola deserta e ghiacciata Shackelton ha lasciato tutti i compagni meno due e si è rimesso in navigazione alla ricerca d’aiuto. Migliaia e migliaia di km di oceano in mezzo a tempeste tremende. Raggiunsero la Georgia Australe finalmente. Peccato che la Georgia Australe abbia una scomoda caratteristica geografica: una base baleniera abitata, una montagna da 4.000 mai scalata prima d’allora, e una sponda disabitata. Indovinate da che lato sono approdati i nostri amici fortunati? Poteva fermarli una piccola impresa alpinistica? Suvvia non siate puerili. Il giorno di Pasqua del 1916, si racconta che gli abitanti della base si videro comparire davanti tre esseri para-umani. Reduci da un’odissea di due anni al limite dell’umano. Ora cosa avreste fatto voi in un’occasione simile? Io mi sarei buttato su una cioccolata calda e avrei chiesto i risultati delle partite dell’Inter (che almeno ai tempi dava qualche soddisfazione). Shackelton invece era evidentemente il tipo d’uomo che non seguiva il calcio. Lui si fece una doccia, si fece dare una nuova nave e in due giorni parti per andare a salvare i compagni sull’isola Elefante. Che ci crediate o meno, nessuno morì. Gli avevano affidato 22 anime e 22 ne sono tornate a casa (un po’ meno bene andò ai cani della spedizione)….scusatemi se è poco.
Fuori dal porto ci portano all’isola de Los Lobos dove abbiamo l’occasione di osservare veramente da pochi metri i leoni marini. Molto bello. Peccato che il guano sia davvero pestilenziale.
Bello vedere volare i cormorani, Volano bassi, bassi a pelo d’acqua, sembrano toccare il mare con ogni battito d’ali. Decollano con le zampine palmipede cominciando a correre come idrovolanti alzando una scia bianca di schiuma e dopo qualche decina di metri “ritirano il carrello” e si reggono in volo battendo le ali. Quando non volano o pescano, se ne stanno accovacciati sullo specchio del canale come paperotti.
Arriviamo al bel faro rosso simbolo di Ushuaia (il finto faro della fin del mundo), foto di rito e navigazione di ritorno nel salone anni trenta della barca seduti su sedie di cuoio verde in mezzo alle foto del transatlantico naufragato contro l’isola del faro negli anni ’10. Questo posto è un po’ fuori dal tempo c’è poco da fare: pare che l’unico a morire sia stato il capitano che non ha voluto abbandonare la nave come nelle migliori tradizioni.Cena romantica sul lungomare. L’insegna gigantesca a forma di granchio spingerebbe a desistere, ma l’interno del locale è veramente carino. Una strana accozzaglia di oggetti marinari, giornali spagnoli degli anni trenta e un’atmosfera intima. “con te partirò” in sottofondo. Il cibo è ottimo, il tramonto roseo sul mare troppo bello anche per una cartolina. Ecco perchè non possiamo non dirci soddisfatti.

14.11.04


Le buone abitudini patagoniche Posted by Hello


Le apparenze ingannano - il Cerro Torre per famiglie Posted by Hello

9.11.04

Lago del Desierto 11/XII/2001

Dopo la faticata di ieri e dati i miei piedi ancora doloranti addio sogni di gloria su ghiacciaio. Optiamo per una turistica escursione sul boscoso lago del Desierto. Si parte in pulmino attraverso 40 km di strada fra le vallate boscose del parco nazionale. Per un’ora solo foreste, fiumi, e vedute mozzafiato sulla parete nord del Fitz-Roy balenanti all’improvviso tanto per vedere se rimanevamo concentrati. Questa è anche la via più comunemente seguita per prendere la cima del Fitz-Roy. 36 ore di faticata per andare al campo base, sembra irrazionale, ma se si compara con quello che la gente fa comunemente per le donne è proprio un’inezia.
Anche oggi il sole splende ed il cielo è limpidissimo. Il clima patagonico sembra proprio essersi dileguato. Il lago è verde, immenso è contornato solo di foreste fittissime. Un sentiero di 20 km porta alla punta nord, il confine con il Cile. E’ la tipica escursione per famiglie, un po’ sportive. Lungo la strada del ritorno l’autista mi racconta che l’omino del camping sul lago vive lì tutto l’anno. Ciò significa che d’inverno, quando la neve blocca la strada sterrata sulla quale viaggiamo (e questa cosa avviene per circa sei mesi all’anno) il tipo vive in completo isolamento, con le provviste accatastate ed una radio per comunicare nel caso in cui si sentisse male. Come devono essere i giorni con 5 ore di luce e 40 km di foresta innevata a farti compagnia? Se prima mi sembrava eroica la condizione dei 200 abitanti di El Chalten, che rimangono anch’essi bloccati per tutto l’inverno, ora il loro stato mi sembra al confronto, di una facilità quasi banale.
Stop alle cascate di Chorrillo del Salto. Carine. Ho il tempo di bagnarmi zampettando fra le rocce bagnate come al mio solito.
La sera ultima birra dalla signora, saluti calorosi, scambio di e-mail di rigore, promesse (vane come spesso accade in questi casi) di tenersi in contatto. Certo, mi piacerebbe trasportare a Roma il suo locale di legno.
Concludo con due stranezze linguistiche:
Barbaros!: scoperto a El Chalten ma di uso comune in tutta l’Argentina. Vuol dire sostanzialmente “Va bene! Ottimo…”. Sarebbe interessante come ci sono arrivati. Ora, io capisco che i barbari dai tempi di Attila di Abatantuono abbiano sempre avuto un fascino indiscreto –“come atrocità, doppia t come terremoto e tragedia…”, però qui mi sembra si esageri. Ma no, ora che ci penso meglio riemerge un ricordo liceale semi-sommerso. Ricordo il professore d’italiano del liceo che ci insegna che l’origine etimologica dell’italiano “bravo” è nel latino “pravus”, malvagio. A quanto pare il fascino del male è duraturo nei secoli.
No, por favor, al contrario…: rigorosamente da dire tutto insieme. Al Contrario potrebbe anche apparire maleducato: tipo uno ti dice “grazie mille sono stato benissimo con te” e l’altro”risponde Al contrario…”. Certe volte la buona educazione percorre strade misteriose.

6.11.04

El Chalten 8/10-XII-2001

Immacolata concezione di Maria. Ennesima sveglia presto in pochi giorni. C’è poco da fare: è il destino del viaggiatore a quanto pare. Oggi si viaggia per El Chalten, la vera capitale del trekking (tutte capitali qui in Patagonia). 250 km su strada sterrata, 4 ore nella steppa costeggiando il lago Argentino prima ed il lagoViedma poi.
A metà viaggio sosta in una “hosteria de campana”, sostanzialmente una baracca di legno con un camino acceso molto accogliente e lemon pie non male.
Finalmente, El Chalten, accampamento di 200 anime, istituito per legge in mezzo al parco nazionale nel 1985. Da 15 anni questi pionieri costituiscono l’ultimo avamposto di civiltà (si fa per dire ovviamente) per i climber che vogliono scalare il Fitz Roy ed il Cerro Torre (per citare solo le cime più leggendarie).
Arriviamo all’ammanicatissimo ostello del Rancho Grande che essendo strapieno ci gira ad un albergo vicino appena inaugurato “Altes Cumbres”, forse alte cime??? Carino, anche qui accogliente cammino acceso. Un po’ caro, ma qui la popolazione vive di due mesi all’anno di turismo.
Scarponi ai piedi ci avviamo per la prima escursione –che emozione- sul sentiero che porta al campo base del Fitz Roy. All’inizio del sentiero cartello inquietante: “If you see a Puma, you are lucky”; veramente avevo un’altra idea della fortuna, comunque in effetti avevo letto che questo è uno dei pochissimi posti al mondo nei quali si trovano i simpatici felini in libertà. “Behave aggressively, yell, throw stones”, che fortuna! Questo si che è un vero passatempo, non vedo l’ora “and remember you are lucky”... sospetto che i cartelli siano scritti dalla Gialappas a questo punto.
Saliamo solo per un’ora e mezzo fino alla laguna de Los Patos (il laghetto delle paperelle) e quindi dobbiamo avviarci sulla via del ritorno perché devo andare a messa. Arranco fino ad una chiesa di legno stile “quella casa nella prateria”. E’ il giorno delle prime comunioni. Cerimonia impressionante. Tutta la comunità, un centinaio di persone, si stringeva attorno ai sei bambini che facevano la comunione. Le femminucce in tenute da sposine come in Italia, i maschietti in camicia bianca, pantaloni blu ed enorme coccarda della prima comunione sul braccio. Al momento della pace: caos latino-americano. Ciascun individuo a stretto la mano a tutti gli altri spostandosi su e giù per la chiesa. Canti di ogni tipo compresa una sorta di Macarena religiosa che faceva battere le mani prima, poi i piedi, andare giù, saltare e cosi via. Un’ora e quaranta alquanto singolare, ma sembravano contenti e non mi sembra una cosa da poco.

***

La mattina seguente ci aspetta la prima vera escursione da El Chalten alla Laguna Torre e ritorno in 22 km tutto compreso.
Tappa dall’alimentari per comprare da mangiare, oggi staremo fuori tutto il giorno e qui non esiste il simpatico concetto alpino del rifugio nel quale sfondarsi. La mia attenzione è attratta dalla Fernet-Cola che è frutto probabilmente della passione tutta argentina per il Fernet Branca. Dopo l’esperienza del Mate non sono nel mood per nuovi esperimenti.
E’ ora di avviarsi per la Laguna. Dovrebbe essere un affare da circa tre ore. Cominciamo a salire nel bosco di lenga e troviamo un albero del tutto bruciato con cartello dei ranger che avvisa che si tratta del monumento al turista distratto. L’albero è stato incendiato da un cerino di sigaretta.
E’ una giornata di sole eccezionale.
La temperatura primaverile ed il cammino con salite dolci rendono l’escursione molto, molto diversa da come l’avevo immaginata. Al primo mirador rimaniamo rapiti dalla vista del Fitz Roy, e dal Cerro Solo, pieno di neve ed isolato come da nome. Nel bosco d’un tratto picchiettio continuo, alziamo la testa e vediamo un picchio magellanico dalla testa rossa. Bellissimo. Proseguiamo costeggiando il Rio Fitz Roy fino a che d’improvviso si squarcia il panorama e appare la Laguna Torre, azzurra, azzurra, sulla quale si affaccia il ghiacciaio Torre, bianco, bianco e a fare da fondale: il Cerro Solo, il Cerro Torre, una delle vette più difficili al mondo come ricorderà chi ha visto Grido di Pietra, ed il Saint-Exupery. Si, il vecchio Santex è stato anche qui. Pioniere del volo sorvolava la Patagonia con il suo aereo. Il giorno nel quale distribuivano la gloria il papà del Piccolo Principe deve aver escogitato qualche trucchetto. Poteva forse mancare in questo angolo sperduto, terra dei ghiacciai e delle foreste silenziose, popolato solo da eroi, pionieri, viaggiatori-scrittori e turisti? Da bravo turista tento un pisolino al sole in riva alla laguna, ma la natura del posto sembra indispettirsi per la mia evidente mancanza di rispetto. Non siamo mica in spiaggia ad Ostia qui…. Mi sveglio di soprassalto per un urlo di D. Una valanga si è staccata da un costone del Cerro Solo. E’ lontana. Non corriamo alcun pericolo. Certo però che fa la sua figura. Secondo me è pagata dall’ufficio del turismo locale. Un po’ d’emozione non guasta, in fondo siamo ai piedi di luoghi mitici dell’alpinismo. Scriveva Buzzati sul Corriere nel ’59 del Cerro Torre facendo la cronaca della gloriosa e tragica impresa di Maestri ed Egger (morì durante la discesa): “un immensa guglia che dalla sommità di una selvaggia bastionata balza al cielo per circa seicento metri con profilo pauroso. Immaginate una dolomite ricoperta da un vitreo smalto glaciale” . Se hai un po’ di quella indescrivibile passione per l’alpinismo puoi intuire cosa ci sia dietro le parole di Cesare Maestri al ritorno dalla vittoriosa e dolorosa ascensione: “Quanta fatica, quanto rischio, quanti fattori estranei all’alpinismo m’hanno dato la forza di salire! No, non sono felice. Su questa montagna dopo circa 200 ore Toni Egger ha perso la vita. Ha pagato a caro prezzo il suo sogno”. Mi viene in mente una frase di Kammerlander che diceva più o meno che se sei al caldo, hai ben mangiato e non ti duole niente, probabilmente non sei in montagna… Dio solo sa quanto è vero, ma oggi fa eccezione e non me ne lamento per niente….
Proviamo a proseguire verso il Fitz Roy, ma ahimè sono sufficienti: 30 metri di Rio Fitz Roy gelido e irruento, “una tirolesa” (due corde tese sul fiume in sospensione alle quali ti deve legare con l’imbrago per superare le acque stile bucato appeso nei vicoli delle città del mezzogiorno d’Italia, e la nostra totale mancanza di attrezzatura adeguata per costringerci a rinunciare a proseguire…. Lunga e piacevole passeggiata di ritorno nel bosco, cena alle sei e non possiamo farci mancare una visita alla Cervezeria Artigianal, micro-brewery locale (grande questa idea di farsi la birra in casa chissà se diventerà mai di moda anche in Italia?), gestita da una signora locale molto simpatica. Ci travolge con la consueta simpatia del luogo, ci racconta della vita invernale di El Chalten (sostanzialmente scalatori svizzeri bloccati nelle tormente per settimane) e ci rimanda a dormire contenti e brilli.

***

Il 10 è il giorno dell’escursione più seria verso la laguna de Los Tres a 4 ore di cammino da El Chalten, ad un’ora dal campo base degli scalatori del Fitz-Roy, o forse sarebbe meglio dire di quelli che provano a scalare il Fitz-Roy dato che quest’anno solo tre cordate sono arrivate in vetta.
Se ieri eravamo arrivati al campo base di Padre De Agostini, si proprio il fratello del fondatore della casa editrice degli atlanti che da bravo sacerdote salesiano aveva esplorato la zona negli anni venti, meravigliosamente panoramico, ma assai poco impegnativo fisicamente, oggi ci prefiggiamo un percorso con un dislivello un po’ più serio (circa 800 metri) e con un ultimo tratto finale di circa un’ora su boccette abbastanza strapiombanti.
Ripercorriamo in parte i passi del giorno prima, vediamo finalmente la laguna de Los Patos con le papere e in 15 minuti raggiungiamo la laguna Capri, grande, azzurra e con un bellissimo panorama sul Fitz-Roy, mancavano solo la piazzetta ed il Quisisana, per fortuna. E’ un'altra giornata molto bella, anche se un po’ più ventosa. La signora della birreria in effetti ieri ci aveva detto che un tempo simile non si registrava dal 30 marzo. Dovrei essere contento, ma un certo disappunto non posso nasconderlo.
Dopo aver passato anni ha leggere ed immaginare il tempaccio della Patagonia mi scoccia un po’ tornare in Europa senza averlo sperimentato e dover continuare ad immaginarlo. D’altro canto devo anche pensare che ci sono persone che pur avendo scalato il Cerro Torre non l’hanno visto tanto bene quanto mi è capitato ieri.Dopo una sosta nella laguna riprendiamo la marcia in piano nella boscaglia. Per un lungo tratto i rangers hanno segnato il sentiero con nastri rosa, e quindi ci tocca seguire il “sendero rosado” (ditemi voi se vi sembra serio….). Dopo circa un’oretta passiamo davanti all’accampamento Poincenot, dal celebre scalatore morto qui vicino affogato. Narra la leggenda in realtà che sia stato ucciso da un marito geloso del quale il nostro avrebbe sedotto la moglie….
Infiniti pantani dopo approdiamo all’accampamento For Climbers Only. Da qui comincia il tratto finale su roccette strapiombanti. In montagna, cosi come nella vita, il tratto finale è il più duro… Il tutto peggiorato da un simpatico giapponese (quelli sono proprio ovunque peggio degli italiani…) che ci annuncia almeno altri 30-40 minuti di cammino, morale depresso. 5 minuti dopo eravamo al cospetto della Laguna de Los Tres (al nipponico devono essere fischiate le orecchie alquanto). Il vento patagonico tanto citato finalmente decide di darci un piccolo saggio della sua portentosa inclemenza. Ci godiamo il pranzo ed il panorama accovacciati dietro ad un masso. La lezione del giorno è: mai chiedere troppo forte certe cose…Infinita camminata a ritroso. Noiosa come tutti i nostri ed in più funestata da dolori da scarponi nuovi (che dilettante ad affrontare il parco nazionale del Paine con calzature nuove di zecca). Che dire, ciascun gode a modo suo….