El Calafate 6-XII-2001
Arrivo mattutino nella sperduta stazione di Rio Gallegos e acquisto dei biglietti per El Calafate, in effetti la guida aveva ragione. Speriamo che il pulmann partà al piuù presto.
In viaggio verso El Calafate conosciamo due giovani archittetti italiani che si erano licenziati dallo studio nel quale lavoravano a Parigi ed in attesa di cominciare un nuovo lavoro, viaggiavano per tre mesi zaino in spalla (da tipico viaggiatore europeo in Sud-America). Sembrano felici e rilassati. Sembrano dire che si può coniugare una vita borghese con il tempo per se stessi, per la riflessione, e -oso- l'avventura. Mi chiedo se vorrei passare pure io tre mesi in viaggio come loro. Avrei paura di perdere il mio tempo e le mie radici? Stabilitas loci o "Anatomia dell'irrequietezza"? Come sempre mi sento sospeso ed intermedio. La mia natura ermafrodita non mi lascia altra scelta che il dubbio. Mi viene in mente il "Viaggio intorno alla mia camera da letto" intrapreso in pigiama di cotone azzurro e rosa da Xavier De Maistre, che guida l'ottimo, o pessimo a seconda del mio umore, Alain De Botton, nella sua esplorazione dell'abitudine. "Migliaia di persone che non avevano osato prima di me, altre che non avevano pouto, e altre ancora che non avevano pensato di viaggiare saranno persuase dal mio esempio [...] Esiterebbe, il più indolente, a mettersi in cammino con me per procurarsi un piacere che non gli costa nè fatica nè denaro?"
Concludo che è meglio non pensarci troppo a lungo, si rischia di capire qualcosa di se stessi.
Arrivo in mattinata ad El Calafate sulla sponda del Lago Argentino.
Nel paesino, molto alla moda a dire la verità, per quanto questo concetto possa avere un senso a questa latitudine, si decide per il battesimo del fuoco con la bevanda nazionale: il Mate. Il locale prescelto è quello della simpatica signora Maria del Carmen, anziana e pingue portena (abitante di Buenos Aires. Chissà perché i nomi che indicano da quale città si proviene sono cosi difficili. Qualcuno ha idea di cosa sia un “edochiano”?), trapiantata qui ad El Calafate. Con foga missionaria la signora spiega come, dove, perché e via discorrendo si prende il mate (si tutte quelle storie sui Gesuiti et similaria). Ascolto un po’ intimorito la conferenza-sermone. Ho la sensazione di venire edotto di una sorta di cerimonia del thè. Mi chiedo se ad un certo punto si berrà pure qualcosa o meno…
La signora quindi carica d’erba una boccetta di legno nella quale versa il mate, mette la cannuccia di metallo in posizione e quindi versa l’acqua con temperatura compresa tra i 75 e gli 85 gradi. Solo i bambini, le donne giovani e gli stranieri, zuccherano il mate. La signora porge la boccetta a D. che lo assaggia sorridente ed esclama “Penso che Massimo lo prenderà zuccherato”. Scomparsa Maria del Carmen, mi rendo conto che avevo sempre sottovalutato le capacità di dissimulazione di D. Il mate è come bere una sigaretta. L Per fortuna c’è il pane e burro per consolarsi. Deve essere una questione genetica. Non ci si improvvisa bevitori di mate…
Cena gloriosa, al telefono mamma mi dice che Scattone e Ferraro hanno ottenuto giustizia dalla suprema corte di Cassazione. Strano ricevere una notizia tanto attesa in un luogo equidistante – e tanto distante- da tutte le principali città del mondo (cosi dice un cartello al centro del paese). Purtroppo la storia mi insegnerà a limitare i miei entusiasmi.
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