6.11.04

El Chalten 8/10-XII-2001

Immacolata concezione di Maria. Ennesima sveglia presto in pochi giorni. C’è poco da fare: è il destino del viaggiatore a quanto pare. Oggi si viaggia per El Chalten, la vera capitale del trekking (tutte capitali qui in Patagonia). 250 km su strada sterrata, 4 ore nella steppa costeggiando il lago Argentino prima ed il lagoViedma poi.
A metà viaggio sosta in una “hosteria de campana”, sostanzialmente una baracca di legno con un camino acceso molto accogliente e lemon pie non male.
Finalmente, El Chalten, accampamento di 200 anime, istituito per legge in mezzo al parco nazionale nel 1985. Da 15 anni questi pionieri costituiscono l’ultimo avamposto di civiltà (si fa per dire ovviamente) per i climber che vogliono scalare il Fitz Roy ed il Cerro Torre (per citare solo le cime più leggendarie).
Arriviamo all’ammanicatissimo ostello del Rancho Grande che essendo strapieno ci gira ad un albergo vicino appena inaugurato “Altes Cumbres”, forse alte cime??? Carino, anche qui accogliente cammino acceso. Un po’ caro, ma qui la popolazione vive di due mesi all’anno di turismo.
Scarponi ai piedi ci avviamo per la prima escursione –che emozione- sul sentiero che porta al campo base del Fitz Roy. All’inizio del sentiero cartello inquietante: “If you see a Puma, you are lucky”; veramente avevo un’altra idea della fortuna, comunque in effetti avevo letto che questo è uno dei pochissimi posti al mondo nei quali si trovano i simpatici felini in libertà. “Behave aggressively, yell, throw stones”, che fortuna! Questo si che è un vero passatempo, non vedo l’ora “and remember you are lucky”... sospetto che i cartelli siano scritti dalla Gialappas a questo punto.
Saliamo solo per un’ora e mezzo fino alla laguna de Los Patos (il laghetto delle paperelle) e quindi dobbiamo avviarci sulla via del ritorno perché devo andare a messa. Arranco fino ad una chiesa di legno stile “quella casa nella prateria”. E’ il giorno delle prime comunioni. Cerimonia impressionante. Tutta la comunità, un centinaio di persone, si stringeva attorno ai sei bambini che facevano la comunione. Le femminucce in tenute da sposine come in Italia, i maschietti in camicia bianca, pantaloni blu ed enorme coccarda della prima comunione sul braccio. Al momento della pace: caos latino-americano. Ciascun individuo a stretto la mano a tutti gli altri spostandosi su e giù per la chiesa. Canti di ogni tipo compresa una sorta di Macarena religiosa che faceva battere le mani prima, poi i piedi, andare giù, saltare e cosi via. Un’ora e quaranta alquanto singolare, ma sembravano contenti e non mi sembra una cosa da poco.

***

La mattina seguente ci aspetta la prima vera escursione da El Chalten alla Laguna Torre e ritorno in 22 km tutto compreso.
Tappa dall’alimentari per comprare da mangiare, oggi staremo fuori tutto il giorno e qui non esiste il simpatico concetto alpino del rifugio nel quale sfondarsi. La mia attenzione è attratta dalla Fernet-Cola che è frutto probabilmente della passione tutta argentina per il Fernet Branca. Dopo l’esperienza del Mate non sono nel mood per nuovi esperimenti.
E’ ora di avviarsi per la Laguna. Dovrebbe essere un affare da circa tre ore. Cominciamo a salire nel bosco di lenga e troviamo un albero del tutto bruciato con cartello dei ranger che avvisa che si tratta del monumento al turista distratto. L’albero è stato incendiato da un cerino di sigaretta.
E’ una giornata di sole eccezionale.
La temperatura primaverile ed il cammino con salite dolci rendono l’escursione molto, molto diversa da come l’avevo immaginata. Al primo mirador rimaniamo rapiti dalla vista del Fitz Roy, e dal Cerro Solo, pieno di neve ed isolato come da nome. Nel bosco d’un tratto picchiettio continuo, alziamo la testa e vediamo un picchio magellanico dalla testa rossa. Bellissimo. Proseguiamo costeggiando il Rio Fitz Roy fino a che d’improvviso si squarcia il panorama e appare la Laguna Torre, azzurra, azzurra, sulla quale si affaccia il ghiacciaio Torre, bianco, bianco e a fare da fondale: il Cerro Solo, il Cerro Torre, una delle vette più difficili al mondo come ricorderà chi ha visto Grido di Pietra, ed il Saint-Exupery. Si, il vecchio Santex è stato anche qui. Pioniere del volo sorvolava la Patagonia con il suo aereo. Il giorno nel quale distribuivano la gloria il papà del Piccolo Principe deve aver escogitato qualche trucchetto. Poteva forse mancare in questo angolo sperduto, terra dei ghiacciai e delle foreste silenziose, popolato solo da eroi, pionieri, viaggiatori-scrittori e turisti? Da bravo turista tento un pisolino al sole in riva alla laguna, ma la natura del posto sembra indispettirsi per la mia evidente mancanza di rispetto. Non siamo mica in spiaggia ad Ostia qui…. Mi sveglio di soprassalto per un urlo di D. Una valanga si è staccata da un costone del Cerro Solo. E’ lontana. Non corriamo alcun pericolo. Certo però che fa la sua figura. Secondo me è pagata dall’ufficio del turismo locale. Un po’ d’emozione non guasta, in fondo siamo ai piedi di luoghi mitici dell’alpinismo. Scriveva Buzzati sul Corriere nel ’59 del Cerro Torre facendo la cronaca della gloriosa e tragica impresa di Maestri ed Egger (morì durante la discesa): “un immensa guglia che dalla sommità di una selvaggia bastionata balza al cielo per circa seicento metri con profilo pauroso. Immaginate una dolomite ricoperta da un vitreo smalto glaciale” . Se hai un po’ di quella indescrivibile passione per l’alpinismo puoi intuire cosa ci sia dietro le parole di Cesare Maestri al ritorno dalla vittoriosa e dolorosa ascensione: “Quanta fatica, quanto rischio, quanti fattori estranei all’alpinismo m’hanno dato la forza di salire! No, non sono felice. Su questa montagna dopo circa 200 ore Toni Egger ha perso la vita. Ha pagato a caro prezzo il suo sogno”. Mi viene in mente una frase di Kammerlander che diceva più o meno che se sei al caldo, hai ben mangiato e non ti duole niente, probabilmente non sei in montagna… Dio solo sa quanto è vero, ma oggi fa eccezione e non me ne lamento per niente….
Proviamo a proseguire verso il Fitz Roy, ma ahimè sono sufficienti: 30 metri di Rio Fitz Roy gelido e irruento, “una tirolesa” (due corde tese sul fiume in sospensione alle quali ti deve legare con l’imbrago per superare le acque stile bucato appeso nei vicoli delle città del mezzogiorno d’Italia, e la nostra totale mancanza di attrezzatura adeguata per costringerci a rinunciare a proseguire…. Lunga e piacevole passeggiata di ritorno nel bosco, cena alle sei e non possiamo farci mancare una visita alla Cervezeria Artigianal, micro-brewery locale (grande questa idea di farsi la birra in casa chissà se diventerà mai di moda anche in Italia?), gestita da una signora locale molto simpatica. Ci travolge con la consueta simpatia del luogo, ci racconta della vita invernale di El Chalten (sostanzialmente scalatori svizzeri bloccati nelle tormente per settimane) e ci rimanda a dormire contenti e brilli.

***

Il 10 è il giorno dell’escursione più seria verso la laguna de Los Tres a 4 ore di cammino da El Chalten, ad un’ora dal campo base degli scalatori del Fitz-Roy, o forse sarebbe meglio dire di quelli che provano a scalare il Fitz-Roy dato che quest’anno solo tre cordate sono arrivate in vetta.
Se ieri eravamo arrivati al campo base di Padre De Agostini, si proprio il fratello del fondatore della casa editrice degli atlanti che da bravo sacerdote salesiano aveva esplorato la zona negli anni venti, meravigliosamente panoramico, ma assai poco impegnativo fisicamente, oggi ci prefiggiamo un percorso con un dislivello un po’ più serio (circa 800 metri) e con un ultimo tratto finale di circa un’ora su boccette abbastanza strapiombanti.
Ripercorriamo in parte i passi del giorno prima, vediamo finalmente la laguna de Los Patos con le papere e in 15 minuti raggiungiamo la laguna Capri, grande, azzurra e con un bellissimo panorama sul Fitz-Roy, mancavano solo la piazzetta ed il Quisisana, per fortuna. E’ un'altra giornata molto bella, anche se un po’ più ventosa. La signora della birreria in effetti ieri ci aveva detto che un tempo simile non si registrava dal 30 marzo. Dovrei essere contento, ma un certo disappunto non posso nasconderlo.
Dopo aver passato anni ha leggere ed immaginare il tempaccio della Patagonia mi scoccia un po’ tornare in Europa senza averlo sperimentato e dover continuare ad immaginarlo. D’altro canto devo anche pensare che ci sono persone che pur avendo scalato il Cerro Torre non l’hanno visto tanto bene quanto mi è capitato ieri.Dopo una sosta nella laguna riprendiamo la marcia in piano nella boscaglia. Per un lungo tratto i rangers hanno segnato il sentiero con nastri rosa, e quindi ci tocca seguire il “sendero rosado” (ditemi voi se vi sembra serio….). Dopo circa un’oretta passiamo davanti all’accampamento Poincenot, dal celebre scalatore morto qui vicino affogato. Narra la leggenda in realtà che sia stato ucciso da un marito geloso del quale il nostro avrebbe sedotto la moglie….
Infiniti pantani dopo approdiamo all’accampamento For Climbers Only. Da qui comincia il tratto finale su roccette strapiombanti. In montagna, cosi come nella vita, il tratto finale è il più duro… Il tutto peggiorato da un simpatico giapponese (quelli sono proprio ovunque peggio degli italiani…) che ci annuncia almeno altri 30-40 minuti di cammino, morale depresso. 5 minuti dopo eravamo al cospetto della Laguna de Los Tres (al nipponico devono essere fischiate le orecchie alquanto). Il vento patagonico tanto citato finalmente decide di darci un piccolo saggio della sua portentosa inclemenza. Ci godiamo il pranzo ed il panorama accovacciati dietro ad un masso. La lezione del giorno è: mai chiedere troppo forte certe cose…Infinita camminata a ritroso. Noiosa come tutti i nostri ed in più funestata da dolori da scarponi nuovi (che dilettante ad affrontare il parco nazionale del Paine con calzature nuove di zecca). Che dire, ciascun gode a modo suo….