15.9.04

The Bostonians

Se non vi dispiace questa volta provo ad abbandonare la vita di D.C. in favore della regina della Nuova Inghilterra: Boston.
Lo scorso fine settimana ho deciso di lanciarmi nella botta di vita. Biglietto aereo comprato all’ultimo momento e ospitalità (eccelsa) di U., ex-stageur di McK l’estate scorsa, e studente di Computer Science al MIT.
Due giorni all’insegna della mondanità e dell’università. Difficile tenerle separate, ma proviamo a partire dalla prima: Arrivo in serata all’aeroporto e vengono a prendermi U. il fratello C., e la sua ragazza colombiana, A. "Carina", penso fra me e me, "Studi anche tu ad MIT?", scoppia a ridere imbarazzata. Prima gaffe da vero principiante. Avete mai visto una facoltà d’ingegneria in Italia? Pensate allora alla facoltà che sforna gli ingegneri più ingegneri del mondo. Lo so, è agghiacciante, però io ero un po’ frastornato dal volo… "No, sai non frequentiamo troppa gente di MIT" viene in mio soccorso Umberto, "domani capirai il perché". Il giorno dopo girando per il campus dei super-secchioni cominci a capire che alcune cose dei film americani non sono poi cosi tanto delle esagerazioni a fine scenico. Qui ogni semestre c’è qualcuno che non regge la tensione e si butta dalla torre più alta del campus prima degli esami (ormai pare che la polizia presidi la torre nella settimana calda).
Cena in un ristorante fighetto, discoteca alla moda con folla antistante tipo stadio Olimpico il giorno del derby, e after-party brasiliano con rientro alle cinque (beata gioventù, che tempra!).
Ora, due cose mi hanno colpito di questa serata e di quella successiva: le doti da maratoneta necessarie per un tipico fine settimana bostoniano (aperitivo, cena, pre-party, disco, after-party, il confronto con D.C. è impietoso. Facciamo proprio la figura dei morti di sonno governativi), un particolare tipo di caccia, assimilabile ad una specialità che molti ricorderanno dalla beata adolescenza. Quella settimana erano arrivate in città le nuove matricole di Boston University. Compito d’ogni giovane maschio abile era quello di accaparrarsi le freshmen, prima che altri potessero posarci le manacce sopra.
A differenza della nostra pratica adolescenziale, tipicamente individualista e anarchica, da bravi italiani, qui si tratta di un gioco di squadra estremamente proceduralizzato. Mi dovete concedere una piccola digressione sul mondo dei giovani universitari e sulla competizione fra gruppi (buon sangue non mente e queste cose sono un incanto per il mio spirito da ricercatore). Partiamo dal ragazzo americano medio, quello capello corto, biondo, palestrato, magliettina, pantaloncino con i tasconi, sandali perenni ai piedi e furgone simil-SUV sotto il sedere, e dalla sua corrispondente di sesso opposto anche lei biondina, occhio azzurro, fisico a posto, magari ex-cheerleader. Vi sembra di conoscerli da una vita vero? Per forza sono in tutti i film e telefilm statunitensi. Comunque la notizia è che esistono sul serio. Seconda notizia ricordate cose come Animal House (1978), Porky’s Revenge(1985), etc.? Ebbene il mondo delle fraternities (le case per studenti, sororities per le ragazze) è vivo e vegeto a venti anni di distanza. Vi risparmio un trattato di bassa-sociologia ma tanto per farvi capire, lo studente universitario americano può decidere se dormire nel dormitorio dell’università o se associarsi (per la vita) ad una delle fraternity universitarie dentro la quale vivrà, studierà e molto altro ancora per tutti gli anni dell’università. Si tratta di associazioni dal retro-gusto vagamente ancestrale con tanto di prova di iniziazione (sei mesi di noviziato con nonnismo andante: non farti la doccia per una settimana, gira nudo per il campus, et similaria), segni esteriori di riconoscimento (l’anellone dell’associazione è un must), clausura da setta (non puoi mica vedere gente al di fuori della fraternity, al massimo quelli delle associazioni alleate) e risvolti lobbistico-massonici (i frat-boys si aiutano per tutta la vita nel cercare lavoro, l’accesso ad associazioni più o meno prestigiose è fortemente legato all’importanza della famiglia. Insomma non solo devi essere bello e vincente ma anche decisamente upper-class). Io non ho assistito direttamente ma pare che ogni tanto capiti di vedere una mega-limousine dalla quale scendono in smoking i frat-boys che sono andati a prendere le sisters per un formal, una mega-cena di gruppo. Le fraternità si contendono le sorority a suon di festini alcolici, chiaramente se sei un’internazionale sei tagliato fuori da questo mondo iniziatici. Come si reagisce in questi casi? Cercando di beccare le ragazze prima che entrino nella spirale perversa, bruciando le fraternity sul tempo e organizzando mega-festoni in villoni più belli dei loro…. Da qui l’agitazione che mi trovavo intorno. Certo, difficile capire come facciano anche a studiare in tutto ciò…
Sabato mattina sveglia molto tranquilla in undici settembre inondato di sole e di una tranquillità assordante. Tranquillo se comparato con l’agitazione notturna, e tranquillo soprattutto se si pensa che solo tre anni fa il mondo sembrava essere cambiato per sempre. Oggi a parte il discorso di Bush riportato sul Globe nessun segno esteriore, praticamente nessuna manifestazione. Non avrei mai detto fosse possibile. Pensare che Boston è la città dai cui sono partiti gli aerei che si sono schiantati sulle Torri gemelle.
Umberto mi porta in giro per i campus. Prima MIT, un po’ grigi gli edifici storici, megalomane ma bellissimo lo STATA center costato centinaia di milioni di dollari e costruito dall’architetto del Guggenheim di Bilbao. Pazzesco sto passeggiando dove lavora Marvin Minsky! Altro che le freshmen… c’è poco da fare sono secchione come questi ingegneri, The Society of Mind mi esalta più di tutto.
Certo qui si credono un po’ troppo. Si avverte. D’altronde da un posto che è stato chiamato Cambridge dai fondatori cosa vi attendevate (ma un po’ più kitsch no?). Il corridoio principale si chiama ‘the infinite corridor’ (a me non sembra troppo diverso da un normale corridoio della Sapienza, sarò un po’ provinciale). Tutto è un po’ cosi, però si fanno perdonare: hanno un mini reattore nucleare da 3 KW per gli studenti di ingegneria nucleare [ORA SAPETE COSA REGALARMI PER I MIEI TRENT’ANNI], una vasca gigantesca per provare l’idrodinamica degli scafi (anche gli studenti di Ocean engineering dovranno pur divertirsi..] e tante altre cose che puoi vedere in un tour da quattro ore (se sei un tecno-secchione ovviamente).
Harvard è tutto un altro stile. Edifici bassi in mattoncini rossi, biblioteca con marmi pregiati, ponte pedonale sul Charles River per passeggiate romantiche, negozietti. Praticamente il paradiso dell’accademico. Certo se la tirano anche qui da morire (e non vanno ad un party nemmeno per sbaglio), ma avete mai fatto un giro per il loro book-shop? Fra l’altro si vedono persino ragazze carine in giro…..
Sono stremato giriamo da sette ore. Pausa caffè nella piazzetta principale. Vi ho mai detto della differenza fra prendere un caffè negli Stati Uniti ed uno in Italia? No, non sto parlando della differenza di qualità e tipologia. Questo è un discorso che proprio non sopporto. Fra gli italiani in America è una sorta di mantra, un po’ come parlare del tempo per gli inglesi o di calcio per gli italiani in patria: "E quanto è lungo, ma come fanno a bere quella brodaglia, non lo sanno tostare, eppure hanno le macchine uguali, sarà l’acqua…". Per carità. Quella roba non la sopporto. Non me ne parlate proprio. No, io mi riferivo alla differenza nell’ordinare un caffè. In Italia è abbastanza semplice: entri in un bar e chiedi: "Un caffè" e quelli, più o meno buono, ma ti servono qualcosa in una tazzina. Provate a farlo qui. Poveri illusi:
Che dimensione? Singolo, grazie. Macchiato? Macchiato, grazie. Latte integrale o parzialmente scremato? Intero, grazie. Da consumare qui o da portare via? Da prendere qui!!! E sperate che il vostro tono che non ammette repliche plachi il loro furore indagatore… (Non è sempre garantito purtroppo), che fatica...