1.9.05

Agiografia di un'autostrada

Un breve elogio pubblico della Salerno-Reggio Calabria.
La più bistratta e vituperata delle strade del Mezzogiorno italiano, la striscia d'asfalto assurta a simbolo del sud che non decolla, il fondale di eventi tristi di cronaca nera (Nicholas Green ed i suoi genitori spero non siano dimenticati. L'AIDO di certo non dovrebbe smettere di ringraziarli), l'altare sacrificale dei poveri forzati delle ferie d'agosto, cela, nemmeno troppo ben nascoste, preziose opportunità di compiacimento. Consentitemi una modesta perorazione.
Per quelli come me che sono nati ed hanno vissuto "più a sud" la Salerno-Reggio Calabria è più di una strada, è un fatto inevitabile della natura, è il cordone ombelicale di contatto con il mondo. Nella vita puoi sperimentare arterie di tutt'altro rilievo, puoi guidare 'coast-to-coast',arrancare nella tundra fino a capo nord, provare il raid Pechino-Parigi sulle orme del principe Borghese, navigare sulle dune della Parigi-Dakar, ma muoversi lungo la strada di casa costituisce un'esperienza di tutt'altro tipo. Questo è il circuito dei record irriferibili di mio padre, la culla nella quale abbiamo dormito bambini durante le prime esplorazioni del mondo con mamma e papà, il teatro del mio esordio al volante da neo-patentato ("Ma questo è un accompagnamento funebre? Spingiamo su quel pedale, forza!" povero diciottenne nelle fauci di un amante della velocità). Qui il fattore amarcord sbanca e spariglia il gioco.
A questo punto potrebbe affacciarsi legittimo un quesito alla mente di chi legge: "Ma vale la pena starla a fare tanto lunga per una semplice strada? Manco poi stessimo parlando della 'regina viarum'...". Sarà mia cura mostrare che quest'elegia ha il suo perchè, sotto il patronato di Bruce Springsteen, "troubadour of the highway".
Ci troviamo in un'epoca drasticamente diversa da quella che l'ha preceduta. "Natura non facit saltum" ma nell'era della tecnologia, l'artificiale non è meno importante del naturale.
Cosi come la luce elettrica ha cambiato in maniera radicale la storia sociale del mondo, allo stesso modo l'automobile è una di quelle tecnologie destinate a rendere irrimediabilmente 'altro' ciò che ci circonda rispetto a quello che pre-esisteva. Non solo il mondo che conosciamo è assolutamente motorizzato e rombante fino all'ultimo uomo-massa, ma è anche cosi fittamente solcato da quei fiumi per mezzi su gomma che usiamo chiamare autostrade, da risultarne ridefinito in profondità.
"Ci sembravano grandi come oceani" amava ripetere mio padre raccontando delle sue prime esperienze negli anni cinquanta sulla neo-nata rete autostradale italiana. La politica di sviluppo del paese era stata bella che decisa, con tanto di placet di Valletta e della Fiat, e il paese si riempiva di viadotti, gallerie e lingue d'asfalto per trasportare i mezzi della ricostruzione che contribuivano al 'miracolo italiano'. Addio alle strade tortuose da guidatori eroici che facevano un po' Tazio Nuvolari. L'Italia doveva diventare un paese moderno e guidare dalla Sicilia a Roma in unica tirata non poteva più rimanere un'impresa da giovane pilota in Ferrari come mio padre. Cristo a smesso di fermarsi ad Eboli a partire da quegli anni, magari anche perché non era più costretto a sorbirsi gl'interminabile sequenza di tornanti che ti portavano su e giù per l'Appennino calabro per strade dal tracciato la cui origine affondava nella notte dei tempi. Gli abitanti dei luoghi toccati dalla striscia d'asfalto dopo secoli di quasi-isolamento hanno reagito sciamando via, emigrando al nord, desertificando i borghi. Coloro che si sono trasferiti là dove c'era il lavoro ed ogni estate tornano al paese natio danno luogo a quella transumanza umana che la stampa è solita chiamare "il grande esodo". Qualcuno un giorno dovrà spiegarmi perchè i giornali italiani si ostinano a far riscrivere ogni anno ai propri specialisti i loro pezzi di genere. Questi virtuosi della maturità, del grande caldo, del grande freddo, degli scioperi negli aeroporti, etc., etc. ogni anno si mettono alla prova nell'arte della variazione su tema battendo e ribattendo all'infinito su canovacci che, a questo punto, sospetto eterni. Epigoni della tradizione della Commedia dell'Arte riescono, a quanto pare, ad interessare un pubblico affezionato che ama rileggere di "milioni di veicoli in marcia sulle strade", "code alla barriera di Sgurgola" et similaria. Auspico che venga un giorno nel quale un coraggioso e sperimentatore direttore decida di mettere fine alle fatiche dei virtuosi di questo genere riproponendo tale e quale il pezzo dell'anno prima. Se ne accorgerà mai il pubblico dei lettori? Accetto scommesse.
Ma andiamo oltre tutta questa storia remota, tramandata e trapassata e veniamo invece a ciò che può essere vissuto ancora ogni giorno.
Quest'estate ho avuto modo di percorrere l'oggetto della nostra attenzione contingente ben due volte:
La prima di notte con una macchina carica cosi come deve essere strabordante la vettura di chi va in ferie: fratelli, fidanzate, bagagli, macchine fotografiche, bibite, etc. La seconda, al ritorno, di giorno in una domenica da grande rientro solo per otto ore a macinare chilometri, tornanti e lavori in corso.

Ad essere sinceri avevamo provato di tutto pur di evitare l'amaro calice del viaggio notturno: dall'auto al seguito in treno (soluzione veramente smart peccato che sia impossibile trovare posto a meno di rapporti di parentela stretti con l'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato), al traghetto da Napoli a Catania (che non sarebbe male come idea se non richiedesse di arrivare al porto di partenza in un orario incompatibile con qualsiasi attività lavorativa in giornata) ma non c'è stato verso e d'altrocanto ci tenevo troppo a scorazzare con il mio bolide nuovo per la Trinacria. Non rimaneva quindi che una possibile alternativa: lunga scivolata notturna verso sud.
Ci siamo raccomandati agli dei del traffico e abbiamo deciso di metterci in marcia sfidando il sonno, lo sciamare pre-ferragosto verso sud e soprattutto gli interminabili lavori in corso. Un'occasione come questa per indignarmi pensando alla ricetta da politica economia del dopoguerra anti-disoccupazione non potevo proprio lasciarmela perdere. Certo, a ben pensarci, l'adagio della vulgata keynesiana prescriveva di far scavare buche per poi riempirle, mentre gli epigoni calabresi hanno deciso di sostenere l'economia con infinite manutenzioni del manto stradale. Non so perchè ma non me la sento di assolvere nè gli uni, nè gli altri. La buona notizia è che comunque la situazione non è poi cosi tragica. A parte i trenta, infiniti, chilometri vicino Sala Consilina (povera Navi, non avevi nessuna speranza di farcela con le tue stime sui tempi qui) tutto è filato abbastanza liscio.
Il viaggio di rientro invece era cominciato sotto strani auspici. Sul traghetto da Messina a Villa S. Giovanni avevo condiviso il ponte con un gruppo alquanto improbabile di tifosi siculi della Roma che fasciati di lupacchiotti giallorossi si recavano in pellegrinaggio a Reggio per assistere alla prima di campionato: Reggina-Roma. Strano destino preparasi ad affrontare l'appenino Silano dibattendo del fair play di Capello e della crescita umana di Cassano. Mentre risalivo ad ogni curva mi attendevo il muro del "grande rientro" (Oddio scrivo anche io come quei poveretti giornalisti...) ed invece nulla. Il mio puntino sulla mappa del navigatore continuava a risalire e nulla. Nessun traffico, nessun blocco, niente di niente. Ero quasi deluso. Mi ero preparato mentalmente a resistere stoicamente ad una lunga maratona ed invece qui la cosa rischiava di risolversi in una garetta di mezzofondo veloce, poco più di una sgambata. Non c'è nulla di più irritante di non poter esercitare virtù eroiche quando lo si ritiene opportuno. Evidentemente nulla è più come prima. L'aveva intuito già Eraclito, figurarsi se poteva fare eccezione l'agosto italiano. Certo per decenni abbiamo costituito un caso in Europa. Ricordo ancora l'invidia dei colleghi nord Europei che pensavano all'Italia paese della Dolce vita nel quale per un mese si chiudono baracca e burattini e si parte per il mare... Allo stesso tempo io, povero ingenuo, proprio non riuscivo a capacitarmi di come potessero fare loro a resistere lavorando indefessamente tutto questo tempo. Poi dopo la mia prima estate a Londra l'illuminazione. D'estate in nord Europa l'estate c'è ma non si vede. Bella forza che questi non chiudono mai. Hanno voglia a dire "lovely day" sotto una pioggerellina agostana, se il clima fosse stato simile al loro anche gli italiani "baffo nero e mandolino" di certo non avrebbero consacrato il loro agosto alle spiaggie, alle angurie ed alla pasta al forno. Del resto questa intuizione sul clima è una cosa potente. Gia il buon presidente Einaudi ci ammoniva sulle difficoltà di trasformare gli italiani in un popolo di lettori finchè non si fosse trovato un modo per peggiorare sensibilmente le condizioni metereologiche della penisola.